mercoledì 24 settembre 2014

La Nascita di Venere

Oggi quello che ho intenzione di proporvi è un pezzo di un libro di ''Cronache di Vampiri'' intitolato ''Il vampiro Marius''. Il pezzo riguarda le sensazioni che Marius prova guardando il dipinto de ''La Nascita di Venere'' di Boticelli. Ciò che mi colpisce sono le sensazioni profonde che Marius prova guardando il dipinto e con quanta eleganza le descriva. E cosa potevo scegliere come immagine se non la famosa opera

Piccolo riassunto su fatti precedenti: Marius è un vampiro vissuto nell'antica Roma, ricchissimo nella sua esistenza umana e anche in quella vampiresca. Per molti secoli si interessò parecchio alla pittura realizzando lui stesso affreschi e dipinti. Quando andò a Roma dopo secoli che non la visitava, entrò subito nella Cappella Sistina, chiesa di cui aveva sentito così tanto parlare, dove ammirò degli elegantissimi affreschi e subito si domandò chi fosse a riuscire a creare così tanta bellezza. Lo scoprì solo dopo, andando a una festa in un palazzo di nobili dove, descrivendo le opere che aveva ammirato,  chiese agli ospiti chi fosse stato l'autore, perché voleva assolutamente conoscerlo. Questi gli dissero che si trattava di Botticelli e che se voleva incontrarlo doveva andare a Firenze, luogo in cui abitava. Quando si recò a Firenze incominciò la sua ricerca. Dopo essersi informato trovò la modesta abitazione in cui Boticelli viveva con la sua famiglia. Qui con l'aiuto dell'oro riuscì a convincere Boticelli a farlo entrare nonostante l'ora. 

«...La luce aumentò e riempì la stanza. Sandro, come si era definito, indicò un punto alla sua sinistra; quando mi voltai credetti di essere sul punto di perdere la ragione. C'era un'enorme tela contro la parete; mi ero aspettato di vedere un dipinto religioso, non importa quanto sensuale, invece vidi una cosa del tutto diversa che mi lasciò ancora una volta senza parole. Il dipinto era gigantesco e costituito da diverse figure; però, mentre gli affreschi di Roma mi avevano reso perplesso riguardo al loro tema, capii subito cosa raffigurasse questo: non ritraeva santi e angeli, o Cristo, o i profeti, tutt'altro! Raffigurava la dea Venere in tutta la sua gloriosa nudità, con i piedi posati su una conchiglia, i capelli color oro scompigliati da dolci brezze, lo sguardo sognante ben saldo, assistita fedelmente dal dio Zefiro intento a soffiare il vento che la sospingeva verso terra, e da una ninfa bella come la dea stessa che le dava il benvenuto sulla riva. Trattenni il fiato e mi coprii il viso con le mani. Botticelli emise un sospiro leggermente impaziente. Cosa potevo dirgli, in nome degli dei, sulla genialità di quell'opera? Cosa potevo dirgli per esternare tutta l'ammirazione che provavo? Poi lui parlò in tono sommesso e rassegnato: «Se hai intenzione di sostenere che è scioccante e malvagio, ti avviso che l'ho già sentito dire un migliaio di volte. Ti restituirò il tuo oro, se vuoi». Mi voltai e mi inginocchiai; gli presi le mani e le baciai, premendo le labbra tanto quanto osavo, poi mi alzai lentamente, come un vecchio che sollevi prima un ginocchio e poi l'altro, e rimasi fermo a lungo a guardare il pannello dipinto. Osservai di nuovo la figura perfetta di Venere che si copriva il segreto più intimo con ciocche dei suoi foltissimi capelli; osservai la ninfa con la mano protesa e gli abiti vaporosi; osservai il dio Zefiro e la dea insieme a lui, e tutti i minuscoli dettagli del quadro mi si impressero nella mente. «Com'è successo?» chiesi. «Dopo un così lungo periodo di Cristi e Vergini, come hai potuto dipingere una cosa simile?» L'uomo mi guardò e sorrise. «Dipende dal mio committente», spiegò. «Siccome il mio latino non è certo perfetto, mi hanno letto la poesia, e io ho dipinto quello che mi hanno detto di dipingere.» Si interruppe. Sembrava preoccupato. «Lo trovi peccaminoso?» «Certo che no», risposi. «Mi chiedi cosa penso? Penso che sia un miracolo. Mi stupisce che tu me lo domandi.» Guardai il dipinto. «Questa è una dea. Come potrebbe essere altro che sacra? C'è stata un'epoca in cui milioni di persone l'adoravano con tutto il cuore; un tempo in cui le persone si consacravano a lei con tutta l'anima,» «Be', sì», ribatté lui sommessamente, «ma è una dea pagana, e non tutti pensano che sia la patrona delle nozze, come qualcuno sostiene adesso. Alcuni dicono che questo dipinto è peccaminoso, che non dovrei realizzarlo.» Emise un sospiro carico di frustrazione. Avrebbe voluto dire di più, ma intuii che quegli argomenti erano superiori alle sue capacità. «Non ascoltare simili commenti», lo esortai. «Ha una purezza che non ho visto quasi mai nella pittura. Il viso di Venere, il modo in cui l'hai dipinto... sembra appena nata, eppure sublime; una donna eppure divina. Non pensare al peccato quando lavori su questo dipinto. Questo dipinto è troppo vitale, troppo eloquente. Scaccia dalla mente le lotte del peccato.» Lui rimase in silenzio, ma sapevo che stava riflettendo. Mi voltai e cercai di leggergli la mente. Sembrava caotica, piena di pensieri errabondi e senso di colpa. Era un pittore quasi totalmente alla mercé di coloro che lo ingaggiavano, ma si era reso straordinario in virtù delle particolarità che tutti apprezzavano nel suo lavoro. Da nessuna parte il suo talento era espresso più pienamente che in quel particolare quadro, e lui lo sapeva, pur non riuscendo a spiegarlo a parole. Rifletté intensamente su come parlarmi del suo mestiere e della sua originalità, ma non era semplicemente in grado di farlo. E io non intendevo fargli pressioni. Sarebbe stato crudele. «Non possiedo le tue parole», confessò con semplicità. «Credi davvero che il dipinto non sia peccaminoso?» «Sì, te lo ripeto, non lo è. Se qualcuno ti dice qualcosa di diverso sta mentendo.» Non potevo sottolinearlo abbastanza. «Guarda l'innocenza nel viso della dea. Non pensare ad altro.» Sembrava tormentato, poi mi resi conto di come fosse fragile, a dispetto del suo enorme talento e dell'enorme energia che metteva nel lavoro. L'impeto della sua arte poteva essere completamente annientato da quanti lo criticavano. Eppure, in qualche modo, lui continuava a creare ogni giorno le immagini migliori che sapesse dipingere. «Non credergli», aggiunsi, spingendolo a guardarmi di nuovo...» 




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